GIORGIO CORTENOVA
Il Giornale d’Italia – Arte e Mostre – sabato13-domenica 14 maggio 1972

Alcuni brani tratti dall’articolo  ‘Pittura “scientifica” alla Galleria Dadà di Ferrara’
Le mappe e i chilometri di Guarnieri
I lavori che Guarnieri presenta alla Galleria “Dadà” di Ferrara sono la testimonianza di una straordinaria progressione al di là del naturalismo e della sua sconfitta attraverso uno sviluppo mentale del lavoro iconografico.
Varrà la pena di chiarire al più presto il fenomeno.
….Se ci ricolleghiamo ai lavori di qualche anno fa; ai suoi mosaici di grandi pietre, ciottoli di fiume, cocci di vetro e schegge di cotto, troviamo già implicito quello che sarà l’evoluzione naturale della sua ricerca. Ci si accorge che l’interesse maggiore di Guarnieri non è tanto il risultato “pittorico” della composizione, quanto le distanze tra volume e volume, i solchi che si aprono tra pietra e pietra, la dialettica tra pieni e vuoti. L’autore stesso ne era già in qualche modo cosciente, ma lentamente si renderà conto del fatto con completa esattezza. Oggi, rivedendo quei lavori e specificando la distanza tra le tessere, parla di “chilometri” con assoluta naturalezza.
Il suo “chilometro”, dunque, Guarnieri lo percorreva già allora e si trattava in quel caso, di solchi di fiumi, di immense vallate, di arterie cittadine o invece voragini e dirupi. Ma erano soprattutto direzioni di percorso,….
….La pittura tende a diradarsi; la purezza del pigmento ne risulta però esaltata, il pennello non ricerca più la vertigine del colore ma lo spessore stesso del materiale. Attenzione però: non è il caso di pensare all’alternarsi di materiali grezzi, così come la terra il fango, il cemento. Guarnieri piuttosto dipinge l”anima” della materia, l’essenza impalpabile di avvicinamento. E questo sembra uno dei dati più interessanti dell’ultima produzione. Da tale uso del pennello, oltretutto, sorge un brivido metafisico piuttosto originale, che è il rovescio della medaglia della metafisica di racconto, dove l’uomo e la sua immagine di cera parlano il linguaggio dei muti.
Sarà bene, ricordare di quali elementi si compongano le “scene” di Guarnieri. E dovremo, perciò, rifarci a degli esempi. Immaginate che Guarnieri riprenda dall’alto una pianura, che sia munito di una macchina fotografica capace di percepire anche le zone sotterranee, le fondamenta di antiche città o quelle di vetusti palazzi affogati nella polvere dei tempi. Naturalmente, su tutto crescono vegetazioni bucoliche, arature di zolle, piantagioni primaverili.  Adesso, nella lastra, tutto viene “schiacciato” su un identico piano e ogni elemento della “mappa” risulta risollevato dalle cose di questo mondo, ricondotto a un comune denominatore. Guarnieri adesso dipinge la trama, il tessuto intimo, la connessione delle molecole che definiscono il piano, le distanze, le misure, di quei prati, di quelle fondamenta come bianchi fantasmi.
D’altronde questa particolare presa ottica si sviluppa anche nella grafica, dove il lavoro assume una dimensione ancora più “scientifica”. Qui l’autore ci invita alla rilettura di un grafico, altre volte strizza l’occhio ai reperti di un particolare “elettrocardiogramma”. In effetti tasta il polso alle strutture delle immagini, al loro comporsi attraverso coordinate, punti focali, linee di fuga e di contatto. Allora sarà il caso che ogni elemento venga segnalato attraverso il simbolo geometrico della “crocetta”, quasi invisibile, di volta in volta ricamo e ineccepibile resa matematica del contesto. E’ quanto, infatti, succede in questi fogli, con una puntualità e una coscienza eccezionale del fatto.
Nel monitor-radar di Guarnieri tutto viene inesorabilmente segnalato e l’impatto con le onde occulte della mente non è meno a fuoco di quello con gli oggetti quotidiani del giorno. Una mostra molto efficace di un autore con le carte davvero in regola, impegnato in una concreta e coerente ricerca.

Il Giornale d’Italia – Arte e Mostre – mercoledì 7-giovedì 8 marzo 1973

Brani tratti dall’articolo “Luce e colore per gli occhi ma alimento per la psiche”

Guarnieri (espone alla “Trianon”) bussa alla porta e a gran voce urla “ci sono anch’io”. Non vi sono dubbi: c’è la grinta necessaria, l’orgoglio, la qualità, la genuina passione. Cos’altro poteva sostenerlo in questo lavoro da certosino che gli ha permesso di presentarsi alla sua prima mostra di un certo rilievo con una serie di opere di perfetta fattura, capaci di ridestarci emozioni assopite?
….A livello pittorico, infatti, l’autore ha le carte in regola. Il suo è un discorso votato alla teoria e perciò consapevole di presentarsi ostico nei riguardi di una tradizione pittorica che sguazza per sentimenti facili fino al sentimentalismo, o per imprese scioccanti fino alla demenza e allo scandalo formato  “Grand Hotel” (vedi De Dominicis e la sua vittima mongoloide). Entusiasta di Klee, e lettore ingordo delle sue lezioni al Bauhaus. Guarnieri si è impegnato in uno sviluppo delle teorie del grande maestro, puntando la propria torcia laddove i tempi gli suggerivano si dovesse lanciare un fiocco di luce.
Le sue scale progressive sono un’indagine sulla formazione stessa del colore,…. spazi dell’anima e della mente, freddezza sì, ma illusoria, luce per gli occhi, ma alimento per la psiche….L’esecuzione è correttissima e non mancano le emozioni.

Brano tratto dal catalogo della mostra “Un futuro possibile – nuova pittura” tenuta al Centro Attività Visive di Ferrara e alla Rocca Sforzesca di Imola

….In Vittorio Guarnieri la luce, il dinamismo e il colore sono in strettissima e efficace interdipendenza. Perciò, dal grado zero al progetto dinamico il suo bianco si autocostruisce in pallide possibilità di pigmento colorato attraverso il brivido crescente della luce sollecitata dal movimento interiore della materia: quasi la fronda di un ulivo accarezzata dal vento.

Catalogo per la mostra alla Galleria Ferrari di Verona – 17.1/6.2.1974

Brano tratto da “Appunti per Vittorio Guarnieri”
Appena sfiorata la materia reagisce e, a suo modo, narra di se stessa. Tuttavia potremmo stimolarla secondo varie ipotesi di lavoro:…
…. Il pittore Guarnieri, incanta i colori puri nella contemplazione di se stessi, stuzzica le pareti di un’iride mai apparso nei cieli, percorre la venatura della materia, conducendosi, ormai da molti anni, all’interno delle sue intime fibre. Asetticità, freddezza, disincanto sì: ma anche disperata rinuncia a sovrapporre il piano privato a quello sociale, coerente volontà di recepire nel colore il seme della sua struttura interiore. Le tele di Guarnieri sono una successione incalzante verso la ricerca della materia pura, dove il colore diviene pittura nel momento stesso in cui è negato come materiale tradizionalmente pittorico.
Nella gamma della percezione possibile l’autore ha da tempo scelto quella interna alla coscienza, rinunciando a quella dello sguardo in quanto tale; e così nell’ordine dei riferimenti simbolici egli non insegue certo il sovrapporsi delle illusioni storiche. Se di pittura in quanto storia l’autore sembra parlarci, essa sembra soprattutto raccolta sulla propria intima, trascurata vicissitudine. E certo questa è ideologia, rifiuto del colore in quanto rappresentazione e apertura  alle sue esigenze più concrete. Tutto ciò equivale certo all’abbandono di qualsiasi sagoma formale o illustrativa, ma, nel caso di Guarnieri, significa anche adesione ad un ritmo specificamente pittorico, assonanza della coscienza nel gesto, partecipazione faticata alle ragioni concrete dell’ideologia pittorica.
Anche, o forse soprattutto questo è “nuova pittura” o “nuovo concretismo” o “nuovo astrattismo”, come dir si voglia: coscienza di un passato, di un presente e di un futuro ipotetico, nel seme di una coscienza ribelle alle nostalgie di comodo, alle dolci spiagge del sogno e del ricordo, attiva invece nella fredda consapevolezza della storia e della presenza coinvolgente di se stessi nei problemi degli altri. L’autore non è nuovo a una tale poetica. Egli guarda da tempo, anche se fino ad oggi in difficile isolamento, agli orizzonti inespressi in cui la materia si autocostruisce in cartina di tornasole della coscienza; da anni coadiuva il colore nel recupero di se stesso in quanto realtà autentica e autonoma, al di là e al di fuori delle acculturazioni tanto care alla psicologia del potere.
Klee, Kandinsky, Fontana sono i suoi riferimenti più probabili. Lo speritualismo razionale dei primi e lo spazio “altro” del secondo, che sembra rovesciato da Guarnieri in uno spazio che insiste e scaturisce nel cuore della materia stessa. Ma non si dovranno dimenticare le esperienze americane e quelle concettuali, se è vero che l’autore lavora in senso pragmatico e, d’altro canto, la sua pittura si sviluppa nel contesto stesso del dipingere. Tuttavia, egli sembra voler inseguire l”artigianato” della razionalità e la “preluce” del concetto affrancandosi in regioni “arcaiche”, ancora inesplorate, e in un rigore assolutamente nuovi e orfani di parentele troppo dirette.
I bianchi di Guarnieri, al cui interno l’iride veniva cullato di una sottile epifania, hanno adesso aperto il varco all’apparizione dei colori primari, trascorsi dal brivido di un gesto silenzioso, faticosamente uguale a se stesso, che apre e schiude la vita per tanto tempo rimasta nascosta.

Gala International – anno XI – n° 64 – febbraio 1974

Brani tratti da ‘Il “grado zero” di Vittorio Guarnieri’
La rinuncia al pittoricismo e alla formula della rappresentazione può avvenire proprio attraverso il trionfo del colore ed è indicativo che si verifichi con la rivalutazione della pittura nell’autenticità dei suoi mezzi espressivi. Probabilmente il lavoro di Vittorio Guarnieri si è sviluppato in tale prospettiva…. attraversato da un gesto sempre uguale a se stesso: è questo brivido di mano sulle superfici, infatti, a discoprire il seme segreto della materia.
Le poetiche dell”azzeramento”, sotto il cui profilo è interpretabile la “pittura” di Vittorio Guarnieri, sono qui proposte con un discorso che si cala all’interno del fenomeno: accade, cioè che, nel momento stesso in cui l’autore propone un “grado zero” di manovra, lo ridiscuta e lo analizzi passaggio dopo passaggio, ritmo dopo ritmo, ammiccando alle infinite possibilità e agli affascinanti orizzonti della dimensione minimale….
La terminologia stessa di cui ci serviamo segnala la strada di lettura seguita, nonché i presupposti che si riaffacciano alla base di un tale procedimento di lavoro. E’ indubbia, da questo  punto di vista , la presa diretta con lo spiritualismo razionalista dei Klee e Kandinskj, ma d’altra parte non è trascurabile il rapporto con le esperienze “fredde” americane, Newmann a Reinhard…. Ma se teniamo in considerazione la recente personale allestitagli dalla “Galleria Ferrari” di Verona, dobbiamo concludere che il ruolo decisivo è giocato dall’assolutezza del discorso…. tale da fargli rinunciare qualsiasi possibile appello a formule estetiche o alle sue ombre e fantasmi.
Tanto rigore, a dire il vero, non sorprende, essendo già dichiarato in alcuni lavori meno recenti, ad esempio quelli esposti nella rassegna “Un Futuro Possibile-Nuova Pittura”, presso il Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Tuttavia l’uso del solo pigmento bianco e la successione geometrica dei quadrati lasciavano spazio a un progetto di ritmi nel “campo”, anche se questo veniva subito discusso e posto in crisi dal progredire stesso dell’intervento “gestuale”. Il bianco di Guarnieri, stimolato,… lasciava intendere un corpo interno altrettanto concreto, quasi svolgesse la funzione del bozzolo nei riguardi della farfalla. Da qui ai colori puri il passo sembra di una estrema consequenzialità. Inoltre il pigmento invade adesso il “campo”, diviene “campo” in modo diretto ed esclusivo; e ciò attraverso la sua presenza in quanto materia.
…. Tutto ciò permette a Guarnieri di ridurre il gesto alla coscienza di sè stesso cosicchè la consapevolezza e la riflessione la fanno da padroni nei riguardi dello spontaneismo di matrice ludica o irrazionale. Esso dunque non sopraffà, né tortura la materia, né tanto meno vi partecipa attraverso uno slancio romantico, caratterizzato dallo sfogo dei buoni o cattivi sentimenti o da una sorda disperazione esistenziale: con la materia, invece, prende contatto divenendo capace sia di comunicare con essa che di aprirle i varchi necessari per esprimersi. Qualcosa di simile avviene per la foglia dell’ulivo, che apparirà ai nostri occhi in tutta la propria realtà solo quando sollecitata dal vento.
L’intervento di Guarnieri (una sollecitazione attuata con il graffio di una punta) progredisce attraverso tre successivi passaggi. La loro lettura è però reversibile, da sinistra a destra o viceversa, dal grado di maggiore incisione a quello minore, dallo zero elevato alla terza potenza (per rifarci ai titoli) allo zero elevato alla prima, e così nel verso opposto. Tuttavia ciò non lascia prevedere né un annullamento del “campo” a monte della prima operazione, né una possibile fuga in avanti nei territori di una materia ridotta ai drammi informali.
Come sappiamo, gli spazi all’interno dello “zero” sono infiniti, essi preesistono al numero e obbediscono solo apparentemente alla logica della quantità. Il loro dinamismo è di tipo qualitativo; sotto la parvenza di un qualcosa che riflette in se stesso, si aprono tragitti imprevedibili verso la comunicazione con l’esterno. Da ciò, tra l’altro, la praticità dialettica dell”azzeramento” che, nel caso di Guarnieri, si esprime anche attraverso i colori puri.
La mostra presso “Ferrari” presenta diciotto lavori: i tre colori primari, il nero, il bianco, i composti assommati a questi ultimi, in serie distinte di progressioni a tre. Si noti allora, l’uso concettuale del colore, come qualcosa che viene gestito dal concetto stesso e quindi è ridiscusso fin dalle origini del fatto pittorico: ricollegandosi, appunto, con la sua preluce.
….Rifiuto, del pittoricismo e dell’inquinamento della materia attraverso suggestioni applicate, imposte dal di fuori, non scaturite dall’interno. Si completa così il ruolo di uno straordinario dialogo fisico con il supporto, concepito a misura d’uomo, in quanto facitore fornito di alcune determinate dimensioni, pesi, misure, capacità manipolative, e ricettive.
La stessa misura delle tele (95×95) è calcolata in questa prospettiva, come “campo” avvolgente della contemplazione e dell’azione. Il discorso si svolge tutto all’interno della pittura, riducendo l’operatore e il mezzo in un unico ritmo, speculare tra sollecitazione ed espressività del pigmento….

Brano tratto da ‘Regesto 70 – Percorsi della ricerca artistica in Emilia Romagna – Ed. Clueb Bologna – 1981

…. Chi invece, allora giovanissimo, sta nel cuore di questa poetica è Vittorio Guarnieri. Con lui la storia bolognese presenta subito una leggerezza e una radicalità di lavoro che le generazioni più anziane avevano dovuto faticosamente conquistare aprendosi un varco nelle nebbie tipiche di tutte le province. Nel momento stesso in cui Guarnieri deve ai suoi più anziani colleghi un’aria più leggera e respirabile, appare subito evidente come egli restituisca il favore contribuendo al contesto locale con tutto il peso di una radicalità di lavoro cocciuta, perfino impietosa, e con una  spregiudicatezza culturale di indubbia qualità. Fatte le debite proporzioni, il suo atteggiamento sembra ricalcare simbolicamente le orme di Reinhardt, il “monaco nero”. Fin dagli esordi vi sono in Guarnieri un desiderio di lotta e un istinto che lo conduce allo scontro tipici di chi abbia antiche rivalse da rovesciare sul mondo che lo circonda:…
Comunque sia, la sua opera apparve capace di una primarietà linguistica tra le più autentiche nel panorama europeo di questa poetica e della sua generazione. Guarnieri non lavora di pittura sulla superficie. La sua superficie è la materia in quanto colore: su di essa interviene tracciando pertugi di luce e per la luce, come a volerla scoprire all’interno del pigmento, forzarla o aiutarla a manifestarsi. Ma il lavoro non concede quasi nulla al momento formale: Tutto è azzerato, ridotto alla automaticità di un gesto minuto e cocciuto che solleva la materia e la alleggerisce di qualsiasi peso…..

Brano tratto da ‘Dal naufragio… e ritorno – l’arte negli anni delle ideologie’ – Ed. Giampaolo Prearo – 2002

…. Vittorio Guarnieri, precocemente attivo in chiave autoriflessiva, stimolava la superficie ricoperta di pigmentazione monocroma, attivandola alla luce attraverso una fitta trama di interventi ritmici sulla materia…..