Catalogo della mostra personale alla Galleria TRIANON di Bologna – febbraio 1973
NUOVI RITMI POSIZIONALI DEL COLORE
Quando Richard Paul Lohse (1), in Flash Art, del maggio-luglio 1972, sottolineava il discorso sulle linee d’evoluzione in arte, credeva di aver voltato con sicurezza, le spalle alle “ben verificate costellazioni del reale” trasferendosi nel lontano “regno del definito-indefinito” (2). In realtà, egli rimane legato al concetto di pittura come espressione di movimento tematico e statistico, sulla base di “grandi numeri” e di una logica strutturale in cui le fasi della concrezione del momento artistico vorrebbero rispecchiare la natura, in combinazioni predeterminate, quanto gratuite. Lohse stesso riconosce di essere approdato allo standard anonimo come al medio determinante del fare pittorico: la sua arte si esclude da una valutazione genetica delle forme e dei colori, vedendo in esse solo il colato di connubi sterili e immobili di quantità senza vita. La sua arte confina con la statistica e lo standard; valuta, così, gli elementi qualitativi, indipendentemente da una “quantità” capace d’indagare su se stessa, ricavando da sé i mezzi operativi che – come si desume dalle pagine dell’endometria – (3) si ponga in grado di dirompere l’intera struttura del reale, esteticamente e pittoricamente inteso, convogliando verso la restituzione dell’intero, quale artefice della propria sufficienza automisurativa.
Ora, molto cammino ha percorso il Lohse, preconizzando una pittura del “grande numero”; ma molto restava ancora da fare, e non si sarebbe fatto, se l’arte non avesse saputo divenir consapevole della capacità autocreativa e autooperativa che valorizza da sempre l’espressione estetica come effetto della combinazione numerica. Non si trattava certo di valutare statisticamente valori di quantità, ma di creare degli antagonismi spaziali in cui – servendosi, ad esempio, dei quadrilateri di colore di Ostwald – si potesse vedere il modo di spostamento cromatico in uno spazio in cui fosse poi possibile ribaltare l’interezza di quel modo, collegare il ribaltamento ad una nuova situazione di rapporti laterali diagonalmente opposti, sì da scegliere un centro di riferimento in cui il colore non fosse più, come nell’estetica tradizionale, la composizione di collateralità cromatiche e neppure – come vuole il Lohse – di statistiche cromatiche collateralizzate, ma ingenerasse una preponderanza di colori coincidenti con la parte più interna di quadrilateri, convergenti sulle linee diagonali (nelle quali i colori andavano, così, muovendosi).
Oggi il colore, in seguito all’applicazione della logica spisaniana ai rapporti di cromatismo convergenti, si appalesa come risultato di un nesso di quantità; diviene un fatto estensivo, topologico, che pur sulla modestia di linee che non pretendono più di attingere alla statistica del “grande numero”, ripristina i caratteri automisurativi che lo contraddistinguono per valori di posizioni, in uno spazio euritmico (quello che io ho chiamato Fase musicale cromo-endometrica) e che si collega ai nuovi calcoli per valore di posizione, promossi dalla scuola di Logica, che dal centro di Bologna si dirama ormai ampiamente, come epifania di ripensamenti spazio-temporali, nei luoghi di studio d’Europa e del mondo.
Non si può dire che la pittura sia effetto sul piano cromatico, della “flessibilità del tema base”(4), se tale flessibilità non è fatta dipendere dal tema base medesimo, ma dalla convergenza gratuita di povere costellazioni volumetriche, capaci, neppure per un attimo, di brillare di luce propria, in quanto ignare di quella ricerca “fondata sul principio di identità-differenza”, in cui vanno progettati i fondamenti di un programma, che non avendo i caratteri dogmatici, negativi, del pensiero classico, né le incertezze riformistiche del probabilismo, riproponga anche l’analisi cromatica in uno spazio oggettivo e su linee congrue d’indagine.
La convergenza autosintetica del colore, sui ritmi di spostamento derivati dalla matematica endometrica, lascia prevedere una pittura monocromatica tendente verso il bianco (verso il nero, verso il grigio), come effetto dell’epicentricità di un convergere policromatico in quadrilateri di colore, quantitativamente predisposti. Quanto all’impegno che qui voglio assumermi esso è uno solo: il ripensamento generale della struttura e della natura del colore, fuori dai preconcetti di scuole ormai declinanti, orgogliosamente involte in una protervia oscura, che lascia perplessi, amareggiati e pensosi anche i meno acuti fra i critici contemporanei.
Bologna, 16 gennaio 1973
Vittorio Guarnieri
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(1) L’autore era presente alla 36° Biennale di Venezia e a Documenta 5 di Kassel.
(2) Ibidem, pag. 22.
(3) Cfr. F. Spisani, Significato e struttura del tempo, Bologna, 1972, passim.
(4) Ibidem, pag. 22.